I dolci della festa dei morti

“I morticeddhi” non sono altro che frutta martorana, che noi reggini abbiamo  “copiato” dai nostri dirimpettai, infatti sono dolci tipici siciliani, in particolare della zona di Palermo e Messina.

Questo dolce, la cui ricetta ha come base pasta di mandorle e zucchero, e secondo la tradizione, è nato perché le suore del monastero della Martorana, non avendo frutti nel proprio giardino e quindi gli alberi erano spogli, in occasione della visita del Papa di quel tempo, crearono la frutta proprio con farina di mandorle e zucchero ed adornarono gli alberi. Da quel giorno i perspicaci pasticcieri palermitani ne fecero il dolce simbolo della festa dei morti.

Gli altri dolci che in questo periodo si trovano nelle vetrine delle nostre pasticcerie sono”l’ossiceddha ri morti” che non sono altro che biscotti di pasta garafonata, anche questa è una ricetta originale siciliana , che noi abbiamo fatta nostra ed è composta da questi alimenti: zucchero, farina, chiodi di garofano, cannella in polvere ,acqua e miele.

Duro e croccante il “biscotto” è composto da due parti uno bianco, vuoto all’interno(tipo meringa) che quando si morde si rompe facilmente e uno scuro e duro.

“I morticeddhi “ e “ l’ossiceddha ri morti” questi dolci, anche se non originali  reggini, sono una tradizione da tramandare perché non vadano perdute, poiché la globalizzazione ha fatto si che si festeggia Hallowen con costumi , zucche e dolcetti venuti dall’altro mondo.

Gli antichi sapori della nostra cucina



Il progresso industriale, scientifico e tecnologico ha fatto si che anche la gastronomia, il modo di mangiare, cambiasse radicalmente, facendoci dimenticare quelli che erano gli antichi sapori.
Oggi la gente a tutti i costi va alla ricerca di ciò che era la cucina di una volta, qualsiasi sia la regione.

Per cui nel nostro viaggio tra le cose perdute o dimenticate, non si poteva tralasciare quella che era la vecchia cucina dei contadini reggini, dove le erbe erano cibo-medicina.

Nelle campagne del reggino, non c’era casa, fattoria che oltre le coltivazioni a largo raggio( grano, fave,sulla) non avesse il suo orto e il suo pollaio, per cui gli ortaggi e le uova nella  mensa avevano un ruolo preminente, proprio perché erano facilmente reperibili. In particolar modo la melenzana che sulla tavola contadina sostituiva la carne e poi zucchine, taddhi (1), “burraini”(2), e una bella porzione di “cucuzza i porcu”(3) fritta con aceto, mollica “conzata” e menta,  e ancora frittelle di “jurilli” o “pumaroru sicchi”.

Come per gli ortaggi, onnipresenti, nelle campagne erano i vigneti( oggi sono pochi quelli esistenti, vedi la zona di Pellaro, Scilla e Sambatello) che producevano vini forti la cui gradazione oscillava tra i 14 e i 18 gradi.

Molta usata nella preparazione delle salse era una grande padella di metallo, mentre per cuocere i legumi, in particolare, si usavano le pentole di terracotta.

Un ruolo preminente sui sapori l’aveva il modo  di cottura; infatti, non esistendo il gas, il tutto veniva cucinato nella fornacetta con della carbonella o nella grande cucina a legna, che non era altro che il prototipo di quelle moderne.

Altre pietanze (involtini di melenzane ,peperoni ripieni , parmigiana, l’agnello) venivano cucinate nel forno, che si trovava nel cortile, in genere sotto il pergolato di uva fragola, ed era costruito con mattoni e “matu”(5) a forma di cupola e veniva arroventato bruciando delle fascine di legno.

Chi viveva nelle campagne, anche come semplice bracciante, si poteva considerare “ ricco” in quanto rispetto alla maggior parte della gente di città, aveva sempre  il necessario per vivere, tanto che alcuni bambini prima di andare a scuola rifiutavano il latte e preferivano una specie di purè di granturco o la “pizzata di paniculu”(6).

Come accennato precedentemente, elemento principale nell’alimentazione era il latte, prodotto sia dagli ovini che dai bovini. Alimento base  per la crescita e lo svezzamento dei bambini,  il latte veniva usato per fare ricotte e formaggi, caratteristica era la famosa”  ‘mpanata” che non era altro che del pane duro “ u biscottu”(7) immerso nel siero caldo; questo tipo di pane veniva usato per fare anche un altro piatto tipico” à capunata”(8).

Quasi tutti i primi piatti, non conoscendo il parmigiano o il grana, venivano” innevati” con dell’ottima ricotta salata.

Da evidenziare inoltre che i condimenti allora conosciuti ed usati in tutte le famiglie, quasi fino agli inizi degli anni sessanta erano l’olio d’oliva e la “sugna”(9).

Da  ottobre in poi fino a marzo inoltrato il re della tavola era il maiale. Non c’era famiglia contadina che non allevava questo “nobile” animale, di cui non andava buttato nulla.

Le budella venivano usate per fare la mitica “suppizzata”(10), mentre con la vescica veniva racchiuso il “capicollo”, la pelle o coteca ,le ossa, le interiora( tranne il fegato che veniva arrostito avvolto nel suo velo di grasso con una o più foglie di “lauro”) venivano cucinate nella caldaia a lentissimo fuoco,tanto che il tempo di cottura si aggirava intorno alle otto ore. Una volta cotte si ricavava ( e si ricava ma con altri metodi ;vedi l’uso del gas che accelera il processo di cottura 2/3 ore) una pietanza gustosissima ma nello stesso tempo poco digeribile: le” frittole”(12) e i “ curcuci”(13).

Come si può notare, e balza evidente agli occhi degli esperti, sulla tavola contadina mancava il pesce, e non era un problema di altimetria, bensì economico.

L’unico prodotto ittico era lo stoccafisso, di cui se ne faceva uso particolare durante le festività natalizie, dove “ piscistoccu “(14) e “cavulujuri” e “ ventriceddi chini”(15)erano sempre presenti. Il motivo della presenza di questo pesce era di natura economica, in quanto costava poco tanto che c’era il detto “ custa quantu  na mangiata i piscistoccu” per significare che il prezzo era basso ed accessibile per tutte le tasche.

Quanto precede non comprende tutto quello che era l’antica gastronomia dei contadini reggini, l’argomento è stato solo accennato, in quanto rimandiamo il tutto  nella sezione gastronomia- antichi sapori.

Oggi quelli che erano i sapori di una volta(solo alcuni ristoranti) e le ampie varietà di piatti sono affidati alla fantasia e all’estro dei cuochi.

  • Taddhi – parte più tenera della pianta della zucchina.
  • Burraina – erbe di campagna dal gusto piuttosto acerbo.
  • Cucuzza i porcu – zucca gialla.
  • Carbonella – piccoli pezzi di carbone, derivati dallo spegnimento di piccoli falò, costituiti da fascine di legna.
  • Matu – terra di colore marrone –scuro, che mescolato con acqua sostituiva il calcestruzzo d’oggi e nello stesso tempo ha un potere refrattario, resistendo alle alte temperature.
  • Pizzata i paniculu – impasto di granturco che può essere cucinata semplicemente e cotta come una pizza, o ripiena in genere con” curcuci”.
  • Biscottu – pane di grano lasciato indurire dentro il forno con il solo calore emanato dai mattoni e dal “matu”.
  • Capunata – piatto tipico reggino costituito da “biscottu” leggermente immerso in acqua e poi pomodoro a pezzetti, olio d’oliva, origano, sale e a secondo il gusto alice salate o peperoncino.
  • Sugna – strutto grasso di maiale, che cotto diventa di colore bianco e spalmabile ,viene ricavata durante la cottura delle “frittole”. La “sugna” tolta prima di mettere il sale nella caldaia viene usata in sostituzione del burro in particolar modo nei “cuddhuraci”(16).
  • Suppizzata – salame tipica calabrese, in cui la carne viene”lacciata” ovvero tagliata a pezzetti con il coltello e non macinata, viene insaccata in budella piuttosto grosse.
  • Capicollo – coppa , parte del maiale che si trova dietro la testa .Prima che venga arrotolato e legato strettamente con stecche di canna e spago e poi appeso per maturare in locali ben ventilati; viene lasciato macerare un paio di giorni nel sale e aceto e quindi trattato con dell’acqua calda, vino rosso, pepe nero e peperoncino piccante.
  • Frittole – specialità gastronomica tipica del circondario reggino.
  • Curcuci – cicciole, pezzetti minuscoli di carne, che rimangono nel fondo della caldaia, una volta tolte le frittole e lo strutto. Calde sono liquidi, una volta raffreddati diventano solidi e il loro uso nella cucina reggina aveva molteplici usi, dai gustosissimi panini, alla frittata ,alla polenta, alle uova strapazzate.
  • Piscistoccu e cavulujuri – altra tipica ricetta reggina.
  • Ventriceddhi chini – parte interna dello stoccafisso( piscistoccu) che vengono ripieni con mollica preparata, arrostiti o immersi  nella salsa.

Cuddhuraci – tipico dolce reggino in occasione della Pasqua.