I LUOGHI DI UNA INFANZIA……QUASI PERFETTA

Quando la vita era semplice ma dura e la gente seguiva il ritmo regolare dei giorni e delle stagioni;

Quando tutti si conoscevano e non c’era la necessità di chiudere la porta con la chiave, non perché non c’era niente da portare via, ma perché c’era il rispetto e la riconoscenza dei sacrifici che una famiglia faceva per tirare avanti;

Quando nonostante i tempi duri la gente sorrideva sempre,

in quei tempi c’erano dei luoghi speciali che con nostalgia custodiamo nel nostro cuore e che ormai per restarneattaccati li possiamo solo pensare…di notte.

Come ognuno di noi, che ha superato abbondantemente il mezzo secolo di vita e che la propria infanzia l’ha passata fuori casa, per strada con gli amici a giocare fino a tarda sera e che con noi questi ricordi li voglia rinvangare, li vogliamo riportare alla memoria con queste poche righe, descrivendoli per non dimenticare i tempi che furono.

Tratteremo di luoghi mitici che ci hanno donato tanta felicità spensieratezza e divertimento. Tratteremo ru “ CALIPSU”, ru “SACRAMENTU”, ra “CARRUBBARA”, ru “LACCAREDDU” e ru “PALUMBARU”.

In questo primo scritto trattiamo del favoloso e versatile posto che era 

U’ CALIPSU

In questo luogo, tra l’attuale via Generale Forlenza e via Baracchelle, faceva bella mostra di se un albero di Eucalipto chiamato in dialetto reggino “Calipsu”( che non ha nulla da vedere con il calipso pianta della famiglia delle Orchidacee) . A tale pianta si deve infatti il nome del mitico posto degl’anni della nostra infanzia.

Oggi, a Gallina, è l’unico spazio rimasto libero di quel famoso “balcone sullo Stretto che nulla ha ad invidiare a Posillipo” da dove ancora si può godere di un magnifico panorama. Tutti gli affacci sulla città e sul mare, dal meraviglioso balcone Gallinese, “grazie” ad egoistiche persone incompetenti e di chi aveva l’obbligo di vigilare, sono scomparsi. L’incantevole scenario di cui si poteva godere che spazia da punta Faro alle falde dell’Etna, è stato cancellato dalla scellerata costruzione di mostri ecologici e relegato al ristretto spazio del “Calipsu” la possibilità di godere della fantastica visione dello stretto.

Nei tempi passati la zona era famosa in quanto, poco distante dall’albero, insisteva un’area abbastanza ampia conun importante dislivello, adibita a campo da calcio con al centro un grosso pino marittimo.

Nell’angolo di via Asprea dominava un albero di “sorba”(sorbole) i cui frutti non venivano raccolti, divenendo così, in autunno inoltrato, la nostra dispensa di zuccheri nelle interminabili partite.

Questo rettangolo di gioco è stato anche testimone di epiciincontri le cui gesta erano da fare invidia a quelle di Ulisse narrate nell’Odissea. In particolar modo, durante la festa di San Nicola e ogni 29 Giugno (festa di San Pietro e Paolo) s’invitavano le amatoriali squadre di calcio dei rioni vicini,quali per esempio Armo e Modena. LA singolar tenzone tra le avverse compagini si svolgeva normalmente nelle ore del tardo pomeriggio. In particolare durante la festività dei due santi che all’epoca era considerata giornata di festività Nazionale, due squadre, capitanate da Pietro Fortugno e Paolo Fortugno riuscivano a portare, all’imbrunire, tantissima gente ad assistere alla partita seduti sul muro a secco che costeggiava il rettangolo di gioco. Alla finedegl’incontri, vincitori, vinti e pubblico, accomunati da sincera amicizia, brindavano dandosi appuntamento al prossimo anno accompagnando sempre l’invito con l’immancabile frase “si Ddiu voli”.

Per noi ragazzi la lunga strada sterrata “ru calips” era il nostro parco giochi, l’eden dei divertimenti, il luogo di socializzazione e svago. Si giocava “e ciappi”  “ca rumbula” “ e nucciddhi”. Il posto era anche testimone delle nostre proditorie gesta ciclistiche. Le sgangherate bici, il più delle volte rattoppate alla meno peggio ci vedevano impegnati in spericolate acrobazie. Rimasta negli annali delle gesta delle due ruote, svoltesi in tale magico luogo, era l’impresa di affrontare a tutta velocità la curva del Calipso che il più delle volte ci vedeva finire con tutta la bici dentro “i sipalunari”( rovi di more selvatiche).

Quando, nei rari casi, il fatato spazio non era occupato da noi ragazzini e quando ancora più raramente, nel tempo libero concesso alle ragazze da parte delle Madri, veniva loro permesso di frequentarlo, queste si riunivano in gruppoe giocavano “o campanaru”. L’ormai tramontato del “campanaru” consisteva prima di tutto nel disegnare uno schema numerato le cui caselle variano da 1 a 6 o da 1 a 10.Il giocatore inizia a lanciare il sasso nella casella 1 cercando di farlo atterrare dentro il riquadro senza toccare i bordi e senza farlo rimbalzare fuori e saltellando su una gamba cerca di recuperarlo per poi lanciarlo nella successiva casella. Vince chi riesce a raggiungere l’ultima casella dello schema ed a sollevare la pietra sempre su una gamba. Si viene eliminati se non riesce a tenere su una gamba oppure nel lanciare il sasso finisce su una linea o salta fuori dalla casella.

Il segno dei tempi viene scandito dall’incedere della modernità con i suoi progressi (??!!) tecnologici e con la sua galoppante asocialità di persone e luoghi. Cosa sarebbe oggi un posto come ”U CALIPSU”. Sogniamo per un attimo che la cementificazione del posto non sia avvenuta e che il luogo sia ancora la magnifica sterrata degli anni settanta. Cosa vedremmo? Di sicuro non ragazzini intenti a scorazzare con le bici o giovincelli con le ginocchia sbucciate per le troppe cadute nè tanto meno gentili ragazze con i capelli legati a treccine intenti a giocare “O Campanaru”. Oggi vedremmo un triste posteggio d’inquinanti macchine; vedremmo uno di quei luoghi malfamati dove, al posto della ricercata felicità nel correre dietro ad un pallone, si ricercherebbe la spensieratezza in una dose di droga o di uno spinello; vedremmo una pletora d’inutili idioti che bivaccherebbe magari con una bottiglia di birra in mano, un paio di cuffiette nelle orecchie ed un cellulare in mano. La felicità che un posto quale il Calipso ci ha regalato, verrebbe oggi sfregiata da idioti comportamenti di bullismo di asocialità e di irriverente egoismo………..ed affaciandosi dal balcone sullo stretto un giovane, con un cellulare in mano, pensando di poter vedere tutto il mondo, non si accorgerebbe dell’immensa bellezza che ha sotto gli occhi.

Alla stesura del testo ha collaborato Giuseppe Moscato

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