CCHI M’AVITI FOCU

 

S’avvicina lentamente

Con incidere elegante

Ha l’aspetto trasognato

Malinconico ed assente

Non si sa da dove viene

Ne dove và (purtroppo si sà)

Chi mai sarà quell’uomo…. (di m……)

Addio al mondo

Ai ricordi del passato (che il fuoco distruggerà)

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Che mai più ritornerà (come prima)

Mentre Domenico Modugno nel testo originale della canzone Vecchio Frack descrive la dolcezza malinconica del personaggio, a noi, parafrasandolo, piacerebbe entrare nei meandri dell’animo umano, per scoprire cosa fa scaturire in questi novelli Nerone la voglia di distruzione nell’appiccare il fuoco sui monti. Apparentemente non si intravede nulla che li possa turbare, non solo nei casi incendiari, ma, crediamo, in nessun altro evento catastrofico di origine dolosa, poiché rimane impassibile ed indifferente di fronte alla tempesta che ha scaturito. Potremmo ravvisare meri diretti interessi economici (avere l’erba verde per il pascolo) o più semplicemente convenienze finanziarie (pagati da terzi per creare opportunità lavorative) ma qualunque sia la motivazione di fondo, ci troviamo, sicuramente, dinnanzi a soggetti senza anima, senza cuore, senza scrupoli, gente che al pari deimercenari sono disposti, per lo sporco denaro, a compromettere il futuro dei propri figli.

Ma loro non sanno o fanno finta di non sapere che chi “scherza cù focu prima o poi si bruscia”. Al più presto bisogna fermare la mano di questi criminali, trovare il modo di arginare questi disastri. Ne va la salvaguardia e l’incolumità delle persone, come hanno potuto constatare sulla propria pelle gli abitanti di Cardeto (due morti e un ferito), la gente di Mosorrofa (abitazione bruciata) ed anche quella di Armo, ove, proprio in quest’ultimo antico borgo, sono andati distrutti ettari di pini, bergamotteti e giardini privati.

Nella mente degli Armoti più anziani è ritornato alla mente il racconto dei propri avi, quando nel tardo pomeriggio del 6 Agosto 1924 mentre erano in corso i preparativi per la festa dell’Assunta del 15 Agosto, un violento incendio

distrusse parte del paese. La violenza di tale funesto evento fu tale da richiedere l’impiego dei pompieri della vicina Reggio Calabria e dei pompieri volontari del Comune di Gallina che per domarlo definitivamente impiegarono circa 10 ore. Per tale catastrofe ben 53 famiglie rimasero senza un tetto.

Il prof. Michelangelo Zema delegato CRI, del mandamento di Gallina, essendosi distinto nell’operazione di soccorso ed intervento, si meritò un encomio.

In tale frangente la maggior parte degli abitanti era riunita nei cortili, a recitare la preghiera delle Cento Croci.

Tale supplica, è un antico rito di origine bizantina, tra il sacro, profano e usanze che affondano la radice nella notte dei tempi e che si accompagna alla recita di cento Ave Maria e recita:

-si fa il segno della Croce e si declama :

Farzu nimicu lluntaniti/chi cca me anima no ndai chi mmi fai/oj esti ù jornu ra Biata Virgini Maria/ fazzu centu Cruci e centu Avi Maria.-

Si recita il Rosario ed ad ogni Ave Maria si fa il segno della Croce

Come recita il testo dell’invocazione sia il Segno della Croce che l’Ave Maria si doveva ripetere per cento volte

Poi ancora:

Pinsa, anima mia chi avivimu a moriri/ ndo chianu i Josafattu amu a jiri/e ù nimicu(ù riavulu) voli veniri cu nnui/ fermiti nemicu meu, no mi tentari/ pirchi fici centu cruci(si fa il segno della Croce) duranti a me vita ndo jornu rericatu a Virgini Maria (si fa il segno della Croce).

(Recita del Rosario, ripetendo le azioni sopra descritte)

Nel prendere atto di tali eventi drammatici tutt’altro che naturali e spontanei (alla barzelletta dell’autocombustione non ci crediamo), ci domandiamo, perché quando l’Uomo aveva rispetto e riverenza verso la Natura non c’era fuoco che riuscisse a distruggerla? Ed ancora ci poniamo il quesito, cosa penserà la gloriosa Madre Natura dell’ingrato Essere Umano quando subisce queste tragedie? Ogni tanto l’ambiente che abbiamo ereditato dai nostri avi ed al quale tanta considerazione hanno riservato nei secoli, una qualche ritorsione la mette in atto (alluvioni, esondazioni, valanghe), ma per favore non imprechiamo le divinità ma poniamoci la domanda su quali e quante responsabilità abbiamo nel facilitarne tali catastrofici (in)naturali avvenimenti.

Alla stesura del testo ha collaborato Giuseppe Moscato

Gallina
Mosorrofa
Armo – Puzzi

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