LA SCUOLA……DI NONNA MARIA

PALESTRA DI EDUCAZIONE

La scuola fu fondata dai Sumeri (Etnia originaria della Mesopotania meridionale, odierno Iraq Sud-orientale) nel 3500 a.C. . La sua istituzione avvenne successivamente all’invenzione della scrittura e si chiamava “Edubba” che tradotto significa ”casa delle tavolette” in quanto sia gli insegnanti che gli allievi scrivevano su tavolette d’argilla umide e poi essiccate al sole. 

Lo scopo della scuola, sinteticamente, è mirato all’istruzione e all’educazione (sia in senso interpersonale che di rispetto del vivere civile) dello studente.

Come consuetudine della maggior parte dei nostri scritti vogliamo soffermare la nostra attenzione sulla scuola dei nostri progenitori sia dal punto di vista strutturale-logistico, da quello educativo che storiografico.

Partiamo dall’assetto strutturale/logistico/organizzativo costituente le scuole dell’epoca. 

Le aule dei nostri avi, per la maggior parte, erano molto spaziose e nelle pareti, oltre al Crocefisso alla foto del Re , campeggiavano due grande cartine geografiche. Le classi erano formate da 40/50 e anche più, alunni, rigorosamente divisi tra maschi e femmine.

I banchi non erano singoli bensì “a seduta multipla”. Addirittura per un certo periodo le lunghe panche potevano ospitare anche sei alunni l’uno accanto all’altro, infatti la struttura del banco era costituita da un pezzo unico con la seduta collegata a tutto il resto, successivamente arrivarono i banchi biposto.

Sul ripiano del banco ad una certa distanza (solitamente sul lato destro in alto) c’era un buco dove veniva allocato il vasetto contenente l’inchiostro, che serviva per bagnare il pennino per poter scrivere. L’inchiostro usato per vergare era di non immediata assorbibilità e quindi si rendevanecessario l’uso di carta assorbente, da appoggiare sulla pagina del quaderno appena stilata, con lo scopo di facilitare l’immediata asciugatura dell’inchiostro.

La lavagna non era attaccata al muro ma poggiata su cavalletti di legno e la cattedra era posta su una pedana di legno cosìcchè il maestro/a poteva avere una migliore visione della classe.

Nell’aula la maestra/o era una sola ed insegnava tutte le materie e addirittura un maestro/a faceva più classi. All’epoca, visto la numerosità degli alunni, dovuta anche dalla promiscuità di età che vi era nella stessa sala si rendeva necessaria una didattica separata, sempre nel medesimo ambiente (in questo aspetto “necessitanti osservatori” del metodo Montessori “che prevede la costruzione di classi aperte o comunicanti in cui bambini di diverse età possono interagire tra di loro, per fasce d’età”). C’era la fila della prima, della seconda e così di seguito e quindi le lezioni erano diverse a seconda delle file d’appartenenza. A coordinare le attività del plesso scolastico c’era il Direttore. 

L’uso del “vantali”( grembiule) era obbligatorio. Questopoteva essere blu o nero (ad eccezione dei bambini dell’asilo che era di colore bianco) con un fiocco bianco,nei primi tempi, per poi essere rimpiazzato da fiocchi di diverso colore a seconda della classe che si frequentava. Il colore scuro di questa “divisa” era motivato, oltre dall’encomiabile necessità di essere abbigliati in maniera uguale per non creare discriminazioni tra chi poteva permettersi vestiti più o meno “eleganti”, anche dall’aspetto pratico di camuffare le macchie d’inchiostro. A quell’epoca c’era l’abitudine di nominare un capoclasse il quale aveva la responsabilità della pulizia dell’aula e di mettere in fila i compagni quando si entrava e si usciva dall’edificio.

Il primo giorno di scuola era fissato sempre il 1° Ottobre e tutti gli scolari si recavano a piedi anche se la distanza era notevole. La prima attività eseguita quotidianamente era il controllo igienico, ovvero l’insegnante verificava la pulizia delle mani, del viso e della testa. Tale ispezione, molta scrupolosa, rivestiva un importante ruolo perché, all’epoca di cui trattasi, era molta diffusa la “scabbia”(infezione della pelle legata alla scarsa pulizia) ed i pidocchi proliferavano. Questi minuscoli insetti trovavano habitat favorevole sul cuoio capelluto ove anche si riproduconograzie al deposito delle uova dette” lindini” (oggi purtroppo ancora presenti) sullo stesso. Non esistendo prodotti specifici per debellare questi parassiti si facevano dei lavaggi con aceto caldo e petrolio oppure con olio d’oliva che svolgeva un’azione simile ai primi prodotti. Con un pettine a denti stretti si pettinavano i capelli e cosìfacendo si facilitava l’estirpazione sia degli insetti che delle uova. Altro rimedio delle nonne era quello di preparare l’infuso di rosmarino, distribuirlo sulla testa dopo aver massaggiato lasciandolo agire per circa 10 minuti ed infine risciacquandolo anche con l’ausilio del pettinino. 

Passando all’aspetto didattico risalta subito la semplicità dei relativi strumenti (imparagonabili con quelli moderni) utilizzati per divulgare l’apprendimento  e della metodica  della didattica.

Si studiava con soli due libri, il Sillabario per imparare a leggere e scrivere, e il Sussidiaro che conteneva nozioni di matematica, geografia, storia e scienze. Tra le altre attività c’erano la bella scrittura e soprattutto educazione morale e civile (…..che errore aver abbandonato quest’ultima!!!). L’ora di religione che da calendario era fissata il lunedì, eraprerogativa del parroco del paese. Inoltre c’era l’ora di Economia Domestica, nelle quali le ragazze imparavano a ricamare, lavorare ai ferri, all’uncinetto, a stirare ecc;. I ragazzi invece armeggiavano seghetti, cacciaviti, pialle nell’ora di Applicazione Tecnica.

 

Gli scolari della prima classe prima di scrivere con l’inchiostro usavano il “lapis” (matita). Era obbligatorio scrivere con la mano destra mentre lo scrivere con la mano sinistra era considerato un “difetto” da correggere assolutamente anche attraverso mezzi di coercizione fisica.

L’insegnante correggeva i compiti usando “ù lapis”, una matita metà blu e metà rossa. Con il primo colore sottolineava gli errori lievi, mentre con il secondo gli”orrori” ovvero quelli più gravi.

Le pagelle venivano consegnate ogni tre mesi direttamente nelle mani dei genitori.

Nonostante i numerosi alunni nella scuola il silenzio e l’ordine regnava sovrano e si percepiva una sensazione che incuteva timore e rispetto.

La scuola dei nostri avi era molto rigida e i bambini venivano educati con maggiore severità (in barba al metodo Montessori che prevedeva meno coercizione e più libertà di agire e scegliere da parte dei discenti), tanto che ogni insegnante possedeva una “virga”(bacchetta di legno) che serviva per colpire i palmi delle mani, ad ogni segno di distrazione, ribellione o indisciplina. Altre punizioni consistevano nel mandare dietro la lavagna l’alunno reo di qualche mancanza lieve per una decina di minuti; se invece l’infrazione era grave allora lo si faceva inginocchiare su dei legumi secchi, in genere ceci, sparsi nell’angolo della stanza più vicino alla cattedra.

La severità dei genitori era tale, che quando il figlio si lamentava dicendo” a maestra mi minau nà virgata nde mani”( la maestra mi ha dato una bacchettata nelle mani) la risposta era secca” vordiri chi ta meritasti, pocu ti ndi ressi”( Te la sei meritata anzi di doveva dare più bacchettate).

Se poi uno scolaro non andava bene a scuola o il genitore veniva chiamato a presentarsi poiché aveva compiuto qualche monelleria, questi gli dava “ddui maschiatuni”(due schiaffoni) davanti ai suoi compagni di classe come monito.

Tali metodi severi, invisi sicuramente al Metodo Montessori, seppur nella loro ruvidezza e “sadicità” che nella didattica moderna per fortuna (anzi forse in alcuni casi …purtroppo) non albergano più, avevano il pregio di riverberare rispetto non solo tra alunno e maestro ma anche tra genitori ed insegnati e soprattutto tra gli scolari stessi. Gli studenti rispettavano il ruolo del maestro e di questi ne temevano la relativa autorità (anche se più che autorità sarebbe stato meglio profondere autorevolezza). Nessun genitore all’epoca si sognava di mettersi contro un Maestro anzi ne avallava le decisioni, diversamente da oggi ove un insegnante si deve ben guardare da come tratta lo studente per non urtare la suscettibilità dei “moderni” genitori. Infine il metodo usato dai docenti dell’epoca seppur discutibile sotto l’aspetto della “ruvidezza” e coercizione fisica, ha avuto il pregio di mantenere lontano la nefandezza di quell’atteggiamento spavaldo di alcuni alunni che oggi va sotto il nome di “bullismo scolastico”. Oggi l’istitutore, con la sua mancanza di autorevolezza, (in molti casi correo, con il suo atteggiamento lassista, dei bulletti) instilla, in alcuni alunni, quel senso di superiorità non solo verso se stesso ma anche e soprattutto verso i coetanei dei “sbruffoncelli” creando problemi di sviluppo psicologico che in alcuni casi sfociano, nei soggetti dal debole carattere, addirittura nel suicidio. Oltre che pensare solo ai massimi sistemi, forse sarebbe il caso che chi ha le responsabilità nel settore si preoccupasse anche di tali piccoli ed apparentemente “infimi” problemi che però hanno un grande impatto in pochi deboli soggetti. Che si preparino i docenti anche a sapersi raffrontare con tali situazioni ed anche senza l’uso materiale della “virga”, riescano ad essere autorevoli facendo indossare “virtualmente” nuovamente il grembiule a tutti gli alunni. Suggeriamo inoltre, sommessamente, che facciano buon uso dei nove “comandamenti del buon insegnate” che riportiamo a fondo pagina. Vogliamo chiudere questa breve digressione con una massima di Piero Angela

“Cosa ce ne facciamo dei ragazzi che prendono 10,9,8 a scuola se non sono in grado di intervenire quando viene fatto del male ad un compagno, quando hanno delle prestazioni eccezionali ma non hanno strumenti per aiutare un loro amico e riconoscere un bisogno”,

 

Sotto l’aspetto storiografico facciamo un breve excursus concentrandoci, come nostro solito, anche su quella che è stata la situazione scolastica sul nostro territorio.

La storia ci dice che per poter parlare d’istruzione scolastica pubblica dobbiamo risalire al 1859 quando nel Regno di Sardegna (Re Vittorio Emanuele II°) venne emanato il cosiddetto Decreto Gabrio Casati, allora Ministro della Pubblica Istruzione il cui principio informatore venne fatto proprio dallo Stato Unitario. Con tale Decreto l’istruzione poteva essere impartita sia dai Comuni che dai privati e perciò, come tutte le istituzioni,anche la scuola divenne un affare Comunale (il 4 Giugno 1911 la legge Daneo-Credaro tolse tale gestione, poiché non riuscivano a fronteggiare le spese per il mantenimento delle scuole elementari). Il Consiglio Comunale nominava gli insegnanti che avevano un contratto a termine, i bidelli e il direttore didattico. L’Amministrazione a sua volta doveva dare conto alla Regia Direzione Scolastica.

Anche il Comune di Gallina fu investito di tale importante compito essendo quindi obbligato ad attuare, con grande sforzo economico, tutte le disposizioni emanate dalla Regia Direzione Scolastica. Tra le altre dovette dar seguito anche ad un ordine del 1878 quando una Circolare Prefettizia obbligò di aprire delle scuole in ogni frazione o borgata “che abbia 50 fanciulli da istruire”.

Così nel 1883 in tutto il circondario c’erano sei scuole così ripartite: 1 classe Oliveto, Immacolata, Armo e San Gregorio , invece 2 erano a Ravagnese e Gallina (1 maschile e 1 femminile), poi nel 1884 su iniziativa dell’Amministrazione ne fu aggiunta una settima con sede ad Arangea il cui incarico fu dato alla maestra Filomena De Agazio Martorelli.

Lo stipendio annuo per gli insegnanti di Gallina e Ravagnese era di 550 lire, mentre per gli altri era di 250 lire.

Con l’avvento del 1900 nel Comune di Gallina si contavano nove scuole Ravagnese (2 classi), Cugliari, San Gregorio, Arangea, Carroni, Saracinello, Croce, Armo e Gallina (2classi).

L’8 Luglio 1904 su proposta della Regia Direzione Scolastica vennero istituite le scuole serali e grazie a questa istituzione e all’impegno del maestro Vincenzo Cento la borgata Armo, che era abitata da agricoltori, non ebbe analfabeti (In Italia Meridionale era il 56% della popolazione). Per tale meritoria opera all’illustre educatore il 5 Maggio 1905 gli venne conferito dal Ministero della Pubblica Amministrazione il Diploma di Benemerenza di II classe, con la facoltà di fregiarsi della medaglia d’argento.

Quando il 28 Dicembre 1908 ci fu il catastrofico terremoto, le scuole vennero chiuse per un anno, il tempo di costruire le baracche/scuole a Gallina , Armo e Arangea. Nelle borgate Ravagnese, San Gregorio e Croce Valanidi il Comitato della Croce Rossa Svizzera aveva realizzato tre tendoni, ad uso pubblica utilità, che funzionarono da scuola.

Le scuole nel periodo 1° Ottobre al 30 Aprile seguivano il seguente orario dalle 8,30 alle 13,30 mentre dal 1° Maggio fino al termine dell’anno scolastico dalle ore 7,30 alle ore 12,30, con quaranta minuti d’intervallo.

i nove comandamenti del buon insegnante “del Pedagogo, Filosofo Teologo tedesco Bernhard Bueb:

Nessun bambino è perduto se ha un insegnante che crede in lui.

1) Conoscere se stessi

2) Accettare l’idea che le persone abbiano bisogno di una guida

3) Essere un esempio

4) Darsi obiettivi chiari

5) Onesti e raggiungibili

6) Essere critici verso di sé

7) Imparare a delegare

8) Mantenere la calma

9) Impostare la propria attività scolastica in base a questi principi senza aspettare l’intervento della politica.

Alla  stesura del testo ha collaborato Giuseppe Moscato

Classe scuola elementare Gallina
Classe scuola elementare Armo

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